L’imperizia può attribuirsi anche al medico di sicuro valore

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Con sent. n. 24384 depositata il 30 maggio scorso, la quarta sezione penale della Suprema Corte di cassazione, ha annullato, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, la sentenza di condanna a carico di un chirurgo imputato dell'omicidio colposo di una paziente, deceduta per una perforazione intestinale insorta in seguito ad un'operazione di laparocele, per non aver prescritto gli esami che avrebbero utilmente condotto alla diagnosi di occlusione intestinale, causa della perforazione. I giudici territoriali avevano qualificato il comportamento del sanitario come imprudente, applicando la norma prevista dall'art. 590 sexies c.p., introdotta con la Legge Gelli-Bianco. La Corte di legittimità, in senso contrario, ha ritenuto dovesse trattarsi più correttamente di negligenza mista a imperizia: escludere, infatti, l'imperizia dalla valutazione delle capacità del medico solo basandosi sul suo curriculum, sarebbe stato incorretto, poichè tale nozione "non va infatti rivolta al soggetto nella sua complessiva attività e alle sue capacità professionali, ma al singolo atto qualificato come colposo e che viene a lui addebitato". I giudici di merito, inoltre, nella sentenza resa sia in primo grado che in appello, non avevano vagliato il grado di colpa della condotta del sanitario. Controllo che, in caso di accertata colpa lieve, avrebbe conseguentemente reso applicabile la lex mitior prevista dalla Balduzzi, vigente all'epoca del fatto, con esclusione della punibilità non solo in caso di imperizia, ma anche di negligenza o imprudenza.

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