Legittimo il sequestro dei beni del datore di lavoro che costringe i dipendenti ad accettare stipendi inferiori alla busta paga dichiarata

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Con sentenza n. 13091/18, la seconda sezione penale della Suprema Corte di cassazione, ha annullato con rinvio l'ordinanza emessa dal Tribunale delle Libertà di Catanzaro che, a sua volta, aveva annullato, sostenendo un difetto di fumus, il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP di Lamezia Terme nei confronti dei beni del legale rappresentante di una società che aveva asseritamente posto in essere condotte estorsive in danno a 22 dipendenti, consistite nell'aver costretto costoro ad accettare stipendi inferiori rispetto a quelli dichiarati in busta paga. Il ragionamento alla base della decisione della Suprema Corte risiede nel fatto che la verifica della sussistenza del fumus commissi delicti "investe soltanto l'astratta configurabilità del reato ipotizzato [...] e non può essere compiuta nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell'accusa", come invece aveva fatto il Tribunale di Catanzaro.

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